“Forse avevo trovato la mia anima gemella? Si dice che appaia quando raggiungiamo un tale livello di amore per noi stessi da poterla riconoscere”. In questo estratto di “La rosa di Beltrane – percorso iniziatico” alberga il distillato di un messaggio, quello dell’autrice Claudia Mengoli, che prende per mano ciascuno di noi. Nel binomio “autorealizzazione di te” e “capacità di trovare” e, oserei dire, “rendere felice l’altra metà del tuo cuore” si giocano i destini di un libro di crescita personale che non li pone come due rette parallele ma perpendicolari. La loro intersezione dà vita a nozze feconde, quelle con il pranzo luculliano e una festa finale indimenticabile. Già, perché senza il coltivare te stesso, senza il capirti nel profondo, senza il soddisfacimento di tutti i bisogni, non avrai mai serenità, lucidità e libertà per cogliere l’altra metà del cielo. Quasi un non vedente risulta dunque l’uomo incompleto, monco di quella leggera solidità che fa promanare da ogni anfratto dell’ esistere l’energia vitale, quella che muove anche le montagne. Dunque l’incontro con sé stessi si configura come il capitolo più importante e, quando fa capolino nella coscienza, rende tutti gli appuntamenti che ritenevi fondamentali vacui e privi di sostanza. “Non posporre troppo quando giunge la chiamata … E’possibile anche rinunciare, ma la conseguenza può essere restare con il rimpianto e, a volte, anche con problemi a livello fisico e psicologico”, scrive Mengoli. Il suo è un grido di quelli che scuotono, uno schiaffo come quelli che tirava il buon padre di famiglia di qualche decennio fa, un “no che aiuta a crescere”, parafrasando un noto libro di pedagogia. Non serve allora distrarsi con mille attività giacché il primo innamoramento dev’essere con la creatura che vedi allo specchio. Non si tratta di un’infatuazione di narcisiana memoria, autoreferenziale e chiusa all’esterno, ma della disponibilità a intravedere il proprio potenziale e farne un capolavoro a beneficio anche altrui.Ma sto divagando, lasciandomi sferzare e cullare dalle onde concettuali di Mengoli la quale, giunta al secondo episodio di carriera dopo “La mia trasformazione”, si bilancia fra il “bastone e la carota”. Da un lato sospinge in modo furente al cambiamento verso il benessere, dall’altro fornisce consigli dorati accompagnando il lettore e compartecipando a tale compito titanico. Se infatti è vero, verissimo, che “se arrivi a essere ciò che sei, sei tutto”, è arduo scoprire la reale morfologia dell’anima. Menti, cuori e anime intelligenti e sensibili, “dolcemente complicate” come direbbe Fiorella Mannoia, non possono esimersi da domande su senso e perché dell’esistere. Una società veloce, competitiva ipercinetica e volta alla produzione tout-court come la presente non fa che confondere, atterrire e complicare. Per fortuna, sostiene Mengoli, arriva il dolore, che rappresenta “la rottura dell’involucro”, per dirla con Kahil Gibran. La sofferenza diviene così il farmaco più potente, venuto a sostegno per guarire un io malato, sclerotizzato da meccanismi di difesa e paure, incapace di risalire la china. Mettersi in gioco per non morire dentro, arrivare a toccare il fondo per rinascere dopo la morte di ciò che è vecchio, anacronistico, polveroso. Mengoli spinge sull’acceleratore e invita a non aver timore di tale processo di discesa negli inferi intreriori, per alcune persone necessario e precondizione di una seconda venuta al mondo. Alla scoperta del vero io fanno dunque spesso da prodromi giorni e giorni di acre pesantezza interiore. Si tratta di una paradossale amica che, vista romanticamente ma forse neanche tanto, porterà nel futuro a capire che “forse quella tristezza non è mai esistita”, come diceva Renato Zero. Il contatto con il lato oscuro secondo Mengoli porta l’”eterno studente”, come si definiva in una canzone Francesco Guccini al cospetto dei cambiamenti della vita, a riscattarsi, ma anche a ripulirsi da ciò che è impuro. Una prosa felice e stabile come una quercia con tanti cerchi nella corteccia prende per il mano il fortunato lettore, alla scoperta delle dodici porte, che rimandano alle case dello zodiaco, per diventare più maturi, consapevoli e felici. Da accompagnatrice e “padrona di casa”, l’autrice galoppa a briglia sciolta talora e tal’altra rallenta per prendere fiato lei stessa. Infatti non si pone, come certi scrittori di libri di matrice psicologica (a volte scevri di rigore scientifico, pur desiderandolo), come gli antichi maestri che ritenevano i discenti bottiglie vuote da riempire di sapere. Sceglie la posizione paritetica, fa professione di umiltà e il lettore si sente vicino, guidato ma con un sorriso di compartecipazione. Tanto più che Mengoli non lesina riferimenti alla sua vita privata, pur non celando le competenze derivate dal suo ruolo di coach per la trasformazione e ricercatrice. Anche lei peregrina per le strade delle vita, non senza timori, in cerca di quell’amore più forte di tutto, forza portentosa e rigeneratrice che alla fine fa spogliare del superfluo e arriva all’essenziale. Non pone sul tavolo in modo svenevole soluzioni e ricette, magari il “cambiare la vita in cinque mosse”, ma lascia a ogni lettore la possibilità di adattare dei consigli alla situazione contingente. E non propone di “essere positivi” o “guardare il bicchiere mezzo pieno: “E’però possibile iniziare a crescere solo comprendendo che in ognuno di noi sono presenti una parte angelica e una dannata”, scrive. In un continuo gioco di rimandi duali, pagina dopo pagina, chi legge si alleggerisce, lima i sensi di colpa, si motiva responsabilizzandosi come protagonista di mutamento. Perché è inutile sbattere in faccia a un partner i motivi del tuo fallimento quando tu non hai fatto nulla per evitarlo. Produrrai solo dipendenza emotiva e malintesi, tossici per te e l’altro. Ma ciascuno ha il piacevole dovere di portare nel mondo una persona piena, realizzata, completa, felice, radicata al terreno ma con il gradevole sguardo alle stelle per sognare. Un po’ come la rosa, simbolo di purezza, regalità e bellezza. Con “La rosa di Beltrane” la brava Mengoli fornisce nutriente acqua fresca per vivificare il tuo giardino interiore. Starà a te renderlo rigoglioso e colorato.”

Recensione di Alessio Bacchetta – Giornalista

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